Articoli scritti da: Caterina Baronti

Nasce a Firenze nel 1996, dove studia Lettere moderne e si laurea con una tesi sul "Notturno" di d'Annunzio. Collabora regolarmente con il Corriere fiorentino. Attualmente frequenta il Master in Drammaturgia e Sceneggiatura presso l'Accademia d'Arte drammatica Silvio d'Amico.

Sanremo 2020

Ciò su cui non riesco a trovare una risposta è se sia giusto che artisti come Achille Lauro, Elettra Lamborghini, Myss Keta e Junior Cally stiano sul palco dell’Ariston. La maggior parte di voi mi potrebbe rispondere che la domanda che io mi pongo sia senza senso, perché, di fatto, ci sono già stati, ma vorrei spiegarvi il mio ragionamento.

Sanremo ha come sottotitolo festival della canzone italiana, ma nessuno degli artisti sopracitati ha effettivamente cantato una canzone, al massimo la hanno “parlata”, riuscendo a non farsi capire perché non scandivano le parole, e riuscendo anche a stonare, tutti, nessuno escluso. Ciò che quindi mi sembra evidente è che questi artisti, non siano altro che pupi, pirandellianamente parlando, cioè non siano altro che maschere e una volta tolte, non resti niente.

Il messaggio che voglio far passare è che io ADORO (come canta una di loro) l’ecletticità, e proprio Myss Keta e Achille Lauro non solo li ho attentamente ascoltati a Sanremo, ma li ascolto anche quotidianamente su Spotify. Il problema è che quel famoso bello della diretta si trasforma in horror quando, una volta su quel palco e col microfono in mano, mostrano pur col volto coperto o travestiti da David Bowie o scuotendo il culo davanti alla telecamera, che d’artista non hanno niente.

Per farvi capire meglio mi piacerebbe portarvi l’esempio di Lady Gaga, che tutti conosciamo per i suoi primissimi outfit scandalosi. La abbiamo vista nuda, vestita di carne, di lattex rosso, con degli impianti negli zigomi ma mai ci ha dato l’impressione che quel personaggio, che coraggiosamente si era cucita addosso, fosse solo un metodo per nascondere la mancanza di arte. Se ancora non si fosse capito, non vorrei che questi personaggi non siano altro che lo zucchero che veniva messo attorno ai bicchieri per ingerire più semplicemente il veleno.

Ma è da questo pensiero che mi nasce il dilemma, cioè è giusto dare visibilità a questi artisti che sono il simbolo della nuova generazione, pur sapendo che essi non hanno né arte né parte, oppure è più giusto continuare con la tradizione, che non fa scalpore e non fa parlare di sé, ma continua, attraverso i suoi testi e non solo attraverso i vestiti, a dare delle vere emozioni?

Quel minuto di silenzio

Quel minuto di silenzio che viene imposto, ogni 27 Gennaio, Giorno della Memoria, ai ragazzi nelle scuole, è a mio parere inutile.

Questo mi è sembrato lampante quando, tutti alzati al proprio banco col capo chino, ho sentito due mie compagne di classe cominciare a sghignazzare, e non perché esse fossero insensibili ma perché, in generale, nessuno di noi è mai abbastanza sensibilizzato.

Ho preso coscienza, dunque, che al silenzio, il quale rimane sempre la più alta forma di rispetto, è auspicabile la parola, il dialogo attivo tra docenti e studenti affinché essi non imparino soltanto il programma da portare all’interrogazione o all’esame di Stato, ma lo assimilino e solo allora può acquistare senso il pensiero speriamo mi domandi la Shoah.

Questo perché la Shoah (e NON olocausto!) o qualsiasi episodio di odio razziale o religioso, non può essere percepito come argomento semplice, tanto gli dico delle camere a gas e dello smembramento delle famiglie e sono apposto, ma dovrebbe essere percepito come argomento estremamente complesso perché estremamente complesso è l’animo umano, che come ancora una volta ci ha dimostrato, non placa l’odio che porta congenito e primordiale in sé.

La storia, nonostante quello che si dica, si può benissimo ripetere e da un marchio sulla porta a un marchio sulla pelle è un attimo, è un minuto…anche di silenzio.

Firenze nascosta: Chinese supermarket

In un zona desolata di Firenze è da un anno che, più o meno tutti i giorni, io e il mio “fidanzato di avventure” passiamo davanti a questo supermercato cinese, ma un po’ per fretta (neanche vivessimo a New York) e un po’ per paura, non ci siamo mai entrati.

Per paura perché è chiaramente non gradita la presenza di italiani, dato che sono gli stessi che gestiscono il ristorante cinese accanto e una volta non ci hanno dato un tavolo perché tutto il ristorante era riservato a “soli cinesi”.

Ma il mio spirito di avventura, oggi allo scadere di Marzo, ci ha fatti entrare.

<<NIHAO>> ho urlato appena entrati, muovendo la mano come il loro gatto “neko” dorato, cioè quello chic che saluta con la mano. <<Nihao *parole incomprensibili*>> replica la cassiera << No scusa, non capisco il cinese. Possiamo guardare?>> << Si…certo>> mi risponde, un po’ dubbiosa

Ecco che ha avuto inizio il momento più bello. Dopo che la cassiera ci ha dato l’avallo alla perlustrazione non ho perso un attimo per immergermi tra i pochi, ma lunghi reparti confusionari di quel capannone. Per me il supermercato è il luogo che trasuda la vera essenza di un popolo, che ne riflette gli usi e i costumi.



Come ben si vede anche dalla foto sulla confezione, sono dei ghiaccioli ai fagioli mungo verdi (di cui io non sapevo nemmeno l’esistenza), da distinguere dai fagioli rossi.
Se vi interessa, su youtube ci sono molte ricette – in tutte le lingue e di tutte le gastronomie – per cucinarli.
Ravioli si, ma ENORMI.
In alto a sinistra vediamo ciò in cui rotolano le nostre tempura al ristorante giapponese. Al centro della foto, invece, latte/thè in polvere “tutti i gusti”. In ordine di apparizione:
– Fragola
– Melone (chiamato in cinese Hami Melon)
– Farina (Wheat flavor, sì, significa farina)
– Gusto originale
– Colocasia esculenta (è un tubero chiamato, in italiano “taro”)



Lo stesso latte/thè in polvere ma da portar via. Si deduce che i cinesi ne bevano a quantità industriale se è stato prodotto sia la versione “da casa” che “da passeggio” alla americana.
“Wasabi dried squid” cioè calamaro disidratato.
Il fatto che ci sia scritto “wasabi” forse fa intendere che è piccante, di certo non molto invitante.
Bibite
Bibita al sapore di latte condensato. NON E’ latte condensato.
Kit Kat al cioccolato rosa, introvabili nei supermercati italiani ma reperibili in quelli cinesi, in cui nessuno entra!

E mentre io ero diventata una cinese, scattando foto a qualsiasi prodotto, loro erano diventati gli italiani razzisti, cioè hanno cominciato ad urlare in cinese palesemente parlando di noi. A conferma del mio sospetto, un cliente coinvolto nella animata discussione, passandoci accanto ha gridato: << sono italiani>>. Dopo questa affermazione, il mio fidanzato di avventure, già abbastanza teso, ha cominciato a ricordarmi di andare via, e così per far tornare la calma nel capannone e negli animi, ci siamo avvicinati alla porta.

<< Grazie mille ancora, arrivederci>> ho detto alla cassiera, ma la prossima volta – perché sono sicura che ci sarà – lo vorrei dire in cinese, perché sono convinta che il primo passo per l’integrazione sia sapere qualche parola nell’altra lingua, ma soprattutto, la gentilezza.