In un zona desolata di Firenze è da un anno che, più o meno tutti i giorni, io e il mio “fidanzato di avventure” passiamo davanti a questo supermercato cinese, ma un po’ per fretta (neanche vivessimo a New York) e un po’ per paura, non ci siamo mai entrati.
Per paura perché è chiaramente non gradita la presenza di italiani, dato che sono gli stessi che gestiscono il ristorante cinese accanto e una volta non ci hanno dato un tavolo perché tutto il ristorante era riservato a “soli cinesi”.
Ma il mio spirito di avventura, oggi allo scadere di Marzo, ci ha fatti entrare.
<<NIHAO>> ho urlato appena entrati, muovendo la mano come il loro gatto “neko” dorato, cioè quello chic che saluta con la mano. <<Nihao *parole incomprensibili*>> replica la cassiera << No scusa, non capisco il cinese. Possiamo guardare?>> << Si…certo>> mi risponde, un po’ dubbiosa
Ecco che ha avuto inizio il momento più bello. Dopo che la cassiera ci ha dato l’avallo alla perlustrazione non ho perso un attimo per immergermi tra i pochi, ma lunghi reparti confusionari di quel capannone. Per me il supermercato è il luogo che trasuda la vera essenza di un popolo, che ne riflette gli usi e i costumi.
E mentre io ero diventata una cinese, scattando foto a qualsiasi prodotto, loro erano diventati gli italiani razzisti, cioè hanno cominciato ad urlare in cinese palesemente parlando di noi. A conferma del mio sospetto, un cliente coinvolto nella animata discussione, passandoci accanto ha gridato: << sono italiani>>. Dopo questa affermazione, il mio fidanzato di avventure, già abbastanza teso, ha cominciato a ricordarmi di andare via, e così per far tornare la calma nel capannone e negli animi, ci siamo avvicinati alla porta.
<< Grazie mille ancora, arrivederci>> ho detto alla cassiera, ma la prossima volta – perché sono sicura che ci sarà – lo vorrei dire in cinese, perché sono convinta che il primo passo per l’integrazione sia sapere qualche parola nell’altra lingua, ma soprattutto, la gentilezza.